RACCONTO:
Per: Pietro Bazzoli
Imagine. Internet
I
Un sonoro bussare fece tremare la malconcia porta di legno, interrompendo la quiete. Un fiotto di luce ambrata tagliava la stanza in penombra.
Le veneziane erano abbassate, e quel po' di chiarore che entrava dalla finestra, aperta per via del caldo, sembrava squarciare le tenebre che regnavano solitarie.
L'aria all'interno era vaporosa e appesantita dalla polvere che aleggiava.
L'appartamento era piccolo, in disordine, con le pareti di un colore reso malsano dallo sporco e dal fumo di sigaretta stantio.
Vestiti spiegazzati erano sparsi ovunque, una vecchia sedia era ribaltata in terra da chissà quanto tempo. Il letto in ottone, all'aspetto tutt'altro che comodo, era sfatto e le lenzuola giallognole parevano non essere state cambiate da settimane.
Il materasso logoro era tagliato su un lato, così che parte dell'interno strabordava.
Sul pavimento macchiato di tempera e vino rosso, erano accatastati mozziconi di sigaretta, bicchieri sudici colmi di pennelli e svariate bottiglie di qualsiasi tipo di alcolico fosse disponibile in commercio.
A occupare quasi tutta la stanza, proprio di fronte alla finestra, un cavalletto enorme reggeva una tela sulla quale ormai si erano seccati gli spuzzi di colore.
Il tutto era completato da una scrivania di legno povero, sgangherata e traballante, completamente ricoperta da decine di libri e giornali, le cui notizie appartenevano probabilmente al secolo scorso.
L'unica forma di vita era un giovane uomo, adagiato di traverso sul letto e sfatto almeno quanto l'appartamento stesso.
Non doveva avere più di trent'anni. I capelli unti e la barba incorniciavano un viso macchiato di fuliggine, gli occhi segnati da profonde occhiaie.
Si era finalmente addormentato dopo averci provato per almeno un secolo.
La carnagione rifletteva il pallore tipico di un malato, di chi non conduce uno stile di vita sano, ma che invece arriva allo stremo delle forze prima di crollare esanime. Una sorta di autodistruzione cosciente.
Sulla camicia che indossava fiorivano numerose macchie: sudore mescolato agli schizzi dei pennelli e altre sulle quali era meglio non indagare troppo.
Il suo russare si fondeva col vociare di Firenze, che proveniva dalla strada sottostante. Il cielo della Toscana brillava nel caldo del meriggio estivo.
Centinaia di persone si affollavano davanti alla statua di Dante Alighieri o cercavano di sfuggire all'afa all'interno della navata di Santa Maria del Fiore, tra il profumo d'incenso e l'eco delle preghiere dei fedeli.
Le campane avevano iniziato a battere l'ora della remissione dei peccati, per chi fosse interessato a farsi perdonare qualcosa di fronte a Dio.
Il pittore che russava non era tra questi. Non per disinteresse, certo.
C'era stato un periodo, da bambino, in cui i suoi occhi -colmi d'amore e di buoni propositi per il futuro- riflettevano la luce dei candelabri dorati di qualche chiesetta sperduta tra i pascoli.
In un luogo simile, lo sguardo benevolo di un parroco di provincia si poteva perdere come il vento della campagna, indugiando tanto sui bambini quanto sulle pecore che brucavano l'erba.
Era stata sicuramente colpa del destino se, anziché intraprendere la via che conduce alla Santità, il giovane uomo si fosse ritrovato in uno stato d'incoscienza pomeridiana all'interno di un appartamento fiorentino.
Intanto, il misterioso visitatore continuava a battere incessante, tanto forte da poter quasi sfondare il sottile strato che lo separava dall'interno della stanza.
<<Njchlas!>>, urlò una voce di donna, <<Alzati, hai dormito tutto il giorno>>.
Il giovane rispose con un grugnito, mettendo la testa sotto il cuscino.
D'un tratto, il pomello girò su se stesso e la porta si aprì con un cigolio incerto, una lamentela sommessa per le botte appena ricevute.
Fece capolino nella stanza la figura immensa di una signora di mezza età. Era vestita in modo semplice, alla contadina. Un foulard le conteneva i capelli e le metteva in mostra la fronte, madida di sudore per il caldo e i diversi piani di scale che doveva aver fatto per raggiungere la stanza. Un grembiule, che portava legato in vita, faceva strabordare il lardo accumulato sui fianchi. Ai piedi aveva degli zoccoli.
<<Alzati>>, ingiunse ancora, sbuffando esasperata. Njchlas alzò il capo e la fissò con sguardo vitreo, tirandosi su a fatica.
<<Buongiorno, Donna Angela>>, disse. <<Buongiorno un corno. È pomeriggio inoltrato e tu hai dormito per tutto questo tempo>>.
<<Mi ero appena addormentato>>, risposte il ragazzo passandosi una mano tra i capelli inzaccherati. <<Stavo facendo un bel sogno>>.
<<Ah ci mancava solo questa! Per avere ventisett'anni passi troppo tempo dormendo e frequentando bordelli.
Anzi, spesso fai entrambe le cose insieme>>. <<Così risparmio tempo>>.
La donna preferì non rispondere a parole: l'ennesimo sbuffo e l'occhiata infuocata che gli aveva lanciato erano più che sufficienti.
<<Dovresti mettere a posto questo schifo. Sei l'inquilino più disordinato che ho. Alla fine mi stancherò di tutti i problemi che mi dai e ti caccerò in strada con un calcio nel sedere. Te lo prometto>>.
<<Lei lo dice sempre, ma non lo fa mai. Ormai non ci credo più>>.
Sul volto di Njchlas continuava ad aleggiare un sorriso sincero anche se tirato a causa dei postumi e del terribile mal di testa che doveva avere in quel preciso momento.
<<C'è qualcosa in particolare per cui è venuta a trovarmi, Donna Angela, oppure è una visita di cortesia?>>.
<<Volevo accertarmi che fossi ancora vivo e che non dovessi disfarmi di un cadavere>>.
<<Come vede, godo di ottima salute>>.
<<Non si direbbe, a giudicare dall'aspetto. Comunque hai ricevuto visite: due creditori stamattina e un altro all'ora di pranzo. Tutti con mandanti differenti. Anche un curatore: dice che sono giorni che aspetta i tuoi quadri>>.
<<Quanto erano grossi i creditori?>>.
<<Molto>>.
<<Allora la faccenda è seria. Mi sa che mi toccherà pagarli>>.
Njchlas scoppiò a ridere come se avesse fatto una battuta divertente.
<<Non so quanto talento tu abbia nel dipingere, ma sembri bravissimo a farti dei nemici. Pare che chiunque abbia soldi da prestare ti stia cercando>>, disse Donna Angela.
Il giovane la fissò con aria fintamente sorpresa.
<<Non fare quella faccia: sei l'uomo più richiesto di Firenze e non certo per le tue opere>>.
<<Non c'è fretta per quello. La mostra è tra poco e venderò sicuramente un paio di quadri. Ora che ci penso: ho pagato l'affitto?>>.
<<Ovviamente no. Per il terzo mese di fila>>.
<<Glielo pagherò, promesso>>.
<<Certo, è quello che dici sempre. Alzati, datti una ripulita e fai arieggiare la stanza>>.
Njchlas si alzò dal letto e si avvicinò alla signora per abbracciarla.
Lei cercò di evitare il contatto, ma il giovane uomo la strinse ugualmente a sé e le appioppò un sonoro bacio sulla guancia grassoccia.
La donna arrossì. <<Mi stai antipatico, Njchlas, ma non riesco a immaginarmi questo posto senza di te>>.
<<Lo so: le movimento la vita. Altrimenti che noia!>>.
Donna Angela scoppiò a ridere e gli diede una pacca sulla spalla, tanto forte da farlo arretrare di un passo.
<<Vado a prenderti qualcosa da mangiare. Se non mangi, morirai qui e non voglio cadaveri nel mio albergo>>.
<<Lei è un angelo, di nome e di fatto. Ultima cosa: non ha una sigaretta con sé?>>.
Njchlas sapeva che la donna diceva di non di fumare. Era un vizio che lei, in quanto devota cristiana, voleva tenere lontano per mantenersi pura, in più voleva dare il buon esempio dal momento che era vietato fumare all'interno delle stanze. Ma lui l'aveva vista più di una volta seduta sugli scalini del cortile sul retro, mentre si concedeva qualche boccata al calar del sole, ignara di essere osservata.
Con l'ennesimo sbuffo, tirò fuori da una tasca del vestito un pacchetto malconcio e glielo lanciò.
<<"Nazionali" senza filtro. Le mie preferite>>, disse Njchlas.
La donna gli voltò le spalle e se ne andò, continuando a borbottare improperi verso il pittore. Njchlas chiuse la porta e si diresse verso la finestra.
Alzò le tapparelle e lasciò che la luce pomeridiana inondasse del tutto la stanza.
Soffiava un flebile alito d'aria. Non era abbastanza fresco da poter essere considerato piacevole, ma il giovane artista se ne rallegrò ugualmente.
Appoggiandosi al davanzale si perse ad ammirare i tetti di Firenze, inondati d'oro dal sole che iniziava la sua discesa oltre Santa Maria del Fiore.
Respirò a pieni polmoni e, accendendosi una sigaretta, decise di essere dell'umore giusto per dipingere.
complimenti.. immagini senza fatica ciò che leggi, come fosse un video.. very well!!! muy bien!!!
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